Così è il regno - Mc 4,26-34 |
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+ Dal Vangelo secondo Marco |
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Così è il regno di Dio |
Tre azioni costituiscono questa breve parabola: quella dell’uomo che getta, il seme che autonomamente cresce, la falce mandata; non l’uomo, il seme o la falce ma le azioni che a loro sono legate sono da leggere con attenzione. Capire qualcosa del Regno, sempre che sia possibile, significa entrare nella sua azione dinamica, nel costante divenire della storia, continuamente in trasformazione, mai uguale al passato e destinato a non rimanere tale nel futuro. Il Regno è negazione del tradizionalismo che tende a perpetuare se stesso con uno sguardo fisso al passato, piuttosto è affermazione di una Promessa sempre reiterata e sempre nuova. Poggiare l’attenzione sulle azioni ci libera dal ricercare di individuare i soggetti, l’uomo potrebbe rappresentare il cristiano, l’apostolo, Gesù o il Padre, quello su cui interessa riflettere il fatto che getta il seme. Questo verbo non ci richiama ad una azione mirata come il seminare, piuttosto un’azione casuale, senza controllo; in sostanza potremo dire che il Regno di Dio è buttato dove va va, senza un obiettivo preciso se non la terra; talmente sconsiderato è il gettare che non ci permette di individuare il luogo della caduta; in pratica ogni luogo è possibile custode del Regno. Non è il Vaticano o la parrocchia, né quella famiglia o quel convento, neppure quella associazione di volontariato o quel centro di solidarietà ogni luogo non è escluso dal custodire il seme del Regno. Possiamo avere un atteggiamento passivo come il dormire o attivo come il vegliare, non serve per capire, lo si capirà poi quando il seme germoglia e cresce. |
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con quale parabola |
Gesù parla con immagini ricavate dalla vita agricola e campestre che ognuno deve rileggere con la propria esperienza. A vederla la senape sembra insignificante, tanto piccola e microscopica è la sua semente, ma quando la pianta cresce diventa riparo degli uccelli del cielo. Così la parabola ci invita ad andare oltre le apparenze ciò che sembra debolezza, povertà o fallimento potrebbe possedere una dinamica nascosta che deve essere attesa, scoperta e vissuta; è nel metodo di Dio iniziare da ciò che appare senza senso, piccolo, scartato, ultimo. La parabola ci parla della piccolezza della nascita del regno e ci chiede di adeguare la nostra visuale della vita come quella della testimonianza cristiana alla sua natura. Ciò che le comunità cristiane hanno realizzato, pensato e costruito nella storia sembra contrastare con l’ideale di piccolezza raccontato dalla parabola. Papa Francesco (omelia del 11.06.2013) è consapevole che «si devono portare avanti opere della Chiesa» e che «alcune sono un po’ complesse», ma bisogna farlo «con cuore di povertà, non con cuore di investimento o come un imprenditore».
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